Titolo : Le Otto Montagne
autore: Paolo Cognetti
casa editrice: Enaudi, 2016

E’ una storia essenziale e profonda ad aver vinto quest’anno il Premio Strega: parliamo del libro Le Otto Montagne di Paolo Cognetti, edito da Enaudi nel 2016. In quasi duecento pagine, il racconto della vita di una famiglia e di due amici, che si sviluppa all’ombra delle Alpi. Scorre veloce, ma nella sua apparente semplicità scava a fondo, sa di verità, e poggia su un linguaggio limpido, che senza mai cercare di darsi un tono ci offre poche ma importanti metafore, dal senso tangibile: luccicano appena nella pagina, come luccica a tratti il ghiaccio sulla vetta. Ascoltiamo Pietro Guasti, un ragazzino che, tra salite e discese sul fianco della sua Montagna, diventa uomo. Lo osserviamo procedere un passo avanti all’altro e farsi forza trattenendo i conati, con suo padre alle spalle a vegliare sull’arduo cammino, che non prevede pause di ristoro. Una fatica da matti, per conquistare la cima e per tornare all’origine, a quella sorgente che è madre del futuro, così come il ghiacciaio, contenitore di inverni passati, è padre del ricordo. Domina il silenzio, il non detto, spezzato nella prima parte solo ogni tanto da scambi brevi e duri, tra Pietro e suo padre Gianni, e tra Pietro e Bruno, il suo più caro amico; gli uomini non si parlano mai troppo, a volte quasi per niente. Fanno passare anni, senza dirsi nulla, forse senza mai capirsi davvero, ma al ritrovarsi è come se non fosse trascorso un secondo, nonostante l’allargarsi delle conoscenze e degli affetti, e l’aumentare di rughe, occhiaie, capelli e pensieri grigi. In mezzo, il lavoro di cucito di una donna che tende ai loro legami affettivi come fossero cuccioli da accudire. Ed ecco che i brevi dialoghi piano piano si trasformano in discorsi, i non detti tentano sbocchi e percorsi nuovi per venire a galla, assumono la forma di progetti. Questa è una storia di uomini che amano così intensamente la roccia che tocca il cielo, al di là del bosco, da non poter vivere da nessun’altra parte: la montagna crea una barriera fisica tra loro e la società cittadina, di pianura, col traffico e l’inquinamento, il sovraffollamento, la frenesia continua. La montagna è un rifugio per solitari che impone il suo tributo, in un modo o nell’altro: non offre al cuore alcuna via di scampo, lo lascia scoperto, che sia a godere del calore di una vecchia stufa, con a fianco un amico, o al gelo di un inverno senza fine. Quello che più colpisce, nella scrittura di Cognetti, oltre alla suggestione di un romanzo che ha il sapore di un’autobiografia, sono le descrizioni. La Montagna non è solo l’ambiente, è il personaggio. E’ abete, cembro, ghiaccio, neve, pascolo, larice, rododendro. E’ una serie di nomi precisi, come “berio”, pietraia, che danno al racconto una vera e propria fisicità, e a noi l’impressione di avere a che fare con un corpo e di poterlo toccare con mano. Nel suo blog, paolocognetti.blogspot.it, l’autore definisce così la questione, in un dialogo con Lars Mytting (Norwegian Wood, Sedici Alberi) :
“Dovremmo essere esponenti di un nuovo nature writing, […] un bisogno condiviso di uscire dalle città e recuperare ciò che abbiamo dimenticato là fuori. Ma sappiamo entrambi che la natura esiste solo nella testa dei cittadini. Per chi ci vive in mezzo la natura che cos’è? Un campo coltivato, un bosco di cui l’uomo taglia gli alberi, una costa modellata dal lavoro, una montagna abitata e poi inselvatichita: la cosiddetta natura è un mondo di segni e di nomi, di storie, di relazioni, per questo entrambi preferiamo la parola paesaggio. E “scrittura del paesaggio” è una definizione che potrebbe andarci bene.”
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Commento personale: leggere Le Otto Montagne è stato un assoluto piacere. Mi è sembrato di non aver mai conosciuto davvero la montagna, prima di aver letto questo libro. Lodo la sua grande sensibilità, il suo saper emozionare e suscitare meraviglia, per non parlare della bellezza e della sostanza del suo stile narrativo, capace di offrire sensazioni tattili e visive molto precise. Mi ha fatto desiderare di infilare gli scarponi e partire.

*questo articolo è contenuto nel n. 65 del giornale interscolastico di Treviso