Baltimora, 1962. Richard Strikland arriva al centro Occam, una sorta di “area 51” che pullula di scienziati e militari, con un carico prezioso quanto pericoloso: una creatura venerata in Amazzonia come Deus Branquia che negli USA viene classificata col nome di Uomo Devoniano, un ibrido interspecie anfibio, un uomo-pesce. Il generale Hoyt, diretto comandante di Strickland, spera di ricavarne informazioni e conoscenze in grado di assicurare loro un vantaggio decisivo nella gara che da anni li vede opporsi ai russi. Per Strickland il Devoniano non è altro che un demone repellente da eliminare, la causa della sua personale discesa all’inferno. Per Elisa Esposito, protagonista delicata quanto passionale, la creatura che la osserva lavorare da dietro il vetro della cisterna è invece un riflesso di sé stessa da conoscere, da salvare e da amare.
La Forma dell’Acqua di Guillermo del Toro e Daniel Kraus, consta di 423 pagine intense e imperdibili, edite da tre60 nel 2018. E’ una narrazione fantastica capace di trasportare il lettore nelle stesse atmosfere incantate del film vincitore del Leone d’Oro e di ben 4 premi Oscar, raggiungendo una profondità di pensiero insondabile nel grande schermo. Un abile alternarsi di punti di vista che non confonde e non annoia, assicurato da un intreccio robusto e complesso, ci regala scene inedite e parecchie riflessioni su ciò che significa essere “umano” e su ciò che è la “comunicazione”, del tutto nulla senza la volontà di ascoltare. Questo libro si rivela un’immersione totale nella mente del regista messicano, a partire dalla dedica iniziale: “all’amore, in tutte le sue molteplici forme e manifestazioni”. In superficie emerge come una meravigliosa, se pure arcinota, storia d’amore, una fiaba che fa sognare e insieme inquieta, e che lega il destino di Elisa, ragazza muta impiegata all’Occam come inserviente del turno di notte, a quello della creatura prigioniera nel laboratorio F1. Scendendo sotto il pelo dell’acqua però, si rivelano al lettore un insieme di voci e di cuori solo apparentemente deboli e invisibili, che trovano pian piano il modo di farsi forza, raggiungendo una sincronia di ritmo e di intenti: tra le pagine bagnate ci sono infatti anche l’amore proibito del vecchio Giles per un altro uomo e quello amicale di Zelda e Elisa, capace di farsi beffa con ironia di ogni pregiudizio e ostacolo; c’è l’amore di Lainie Strickland per la sua famiglia, tanto grande da minacciare di soffocarla e tanto forte da spingerla a crescere e a realizzarsi come persona, oltre che come donna, nonostante le convenzioni sociali dell’epoca; e c’è l’amore dello scienziato Bob Hoffstetler per il suo lavoro, che supera ogni confine geografico e ogni barriera linguistica. Ma c’è anche un uomo che ha perso la capacità di amare e di essere empatico, un antagonista d’eccezione, la cui discesa negli inferi della mente e dello spirito merita da sola la lettura, e che potrebbe senza fatica essere accostato al Kurtz di Cuore di Tenebra.
“Lei merita di meglio. Merita di avere intorno persone che sappiano quanto vale. Merita di andare a lavorare in un posto in cui possa sentirsi orgoglioso di se stesso”
Infine, l’azione, il gesto eroico che rompe lo schema prestabilito: Laine che accetta il lavoro; Giles che riprende in mano il carboncino; Elisa, che tende un uovo, simbolo di vita e fertilità, in un luogo di dolore e morte; Zelda, che decide di fidarsi nonostante tutto, Hoffstetler, che butta all’aria anni di meticolosa prudenza e si rende complice di un piano strampalato quanto estremo. Le loro vite ruotano tutte intorno a quella dell’Uomo Devoniano, vittima di un sistema cieco e crudele, e fino all’ultimo la loro sorte è incerta, una danza in bilico su un parapetto scivoloso. “Non è nemmeno umano”, dice Giles. Sono “le parole di un vecchio impaurito che la sta scongiurando di trascorrere in pace i giorni che gli restano da vivere.” La risposta a gesti di Elisa, che lo sta implorando di aiutarlo a salvare la creatura da Strikland, stordisce sia lui che il lettore, aprendo questa storia al suo vero significato: “non lo siamo nemmeno noi”. Né tu, omosessuale, né io, sorda. Né Zelda, nera, e forse nemmeno Laine, donna.
A chi spetta quindi decidere chi è degno dell’essere umano e chi non lo è? Qual è la differenza tra l’Uomo Devoniano e l’ebreo, tra il nero e l’omosessuale, tra la donna e il disabile? Elisa ce lo urla addosso con le mani: tutti siamo degni di amore e di rispetto. Chiudere gli occhi, voltare le spalle quando qualcuno viene privato di questa dignità, anche se quel qualcuno non parla la nostra lingua e non condivide il nostro aspetto o i nostri desideri, non è accettabile.
“Non puoi capirmi, lo so. Ci sono abituato. La mia vera voce, la mia splendida lingua russa … nessuno la capisce qui. Forse almeno in questo siamo simili. Se parlassi con il cuore in mano, mi capiresti?”
Puoi trovare questa recensione nel n.69 de “La Salamandra” – rivista interscolastica e universitaria di Treviso.