RECENSIONE DI GIUGNO 2013 –
titolo : Sognavo l’Africa / I dreamed of Africa
autore : Kuki Gallmann
genere : autobiografia
anno pubblicazione : 1991
lingua : inglese
pagine : 342
note : da questo libro il film I dreamed of Africa (Kim Basinger, 2000)
Parto col dire che cosa mi ha attirato di questo libro, che ho amato moltissimo… L’Africa. E’ una terra che sogno di visitare, così come da piccola lo sognava l’autrice. Come se non bastasse, dopo averlo sgraffignato dalla libreria paterna, ho scoperto che Kuki Gallmann ha le mie stesse radici culturali : nata a Treviso, e cresciuta a Venezia, è sempre stata affascinata dall’Africa. Lì, dopo un evento drammatico che l’ha segnata in terra natia, costruisce a poco a poco la propria vita insieme al compagno Paolo, alle di lui figlie , e a Emanuele, il suo bambino, nato da un precedente rapporto. Il suo libro, una vera e propria autobiografia, considera questa scelta di vita, e le conseguenze che ne sono derivate, con uno stile narrativo che mi ha coinvolto fin dal principio e commosso fortemente. Kuki e Paolo trovano nella tenuta di Ol Ari Nyro, spettacolare luogo vicino a Laikipia (Kenya), la loro nuova casa. Siamo nei primi anni 70.
Dalle pagine di Sognavo l’Africa emergono diversi temi : il senso della vita, il significato profondo del termine ‘famiglia’, il rapporto dell’uomo con la natura, e con gli animali. Ultimo ma non ultimo, il sottile filo rosso che lega l’uomo cacciatore-predatore alla morale ed alla sensibilità umana. C’è un episodio raccontato da Kuki, che mi ha colpito più di altri. L’uccisione di un elefante per mano di suo marito Paolo, che con quella voleva vendicare il fratello, morto a seguito della carica di un altro pachiderma. Paolo, che da uccisore, cacciatore appassionato, si trasforma in protettore della riserva, è un simbolo di come l’Africa possa operare profondi mutamenti nell’animo umano.
Altri argomenti ricorrenti, toccati con naturalezza e senza filtro alcuno dalla Gallmann, sono la questione del colonialismo, e il rapporto interculturale, tra gli ex coloni e i nuovi residenti occidentali e tra loro e le tribù native già presenti, nelle vicine riserve (i pokot, i meru, i kikuyu, i kamba…). Tra questi ultimi i Pokot si distinguono e suscitano l’ammirazione dell’autrice, per il loro rimanere ancorati alle tradizioni, ai costumi, più a lungo di molte altre tribù.
Kuki Gallmann è un’autrice poliglotta. E’ italiana, ma ha scritto il libro in inglese, principale lingua di comunicazione, e ha aiutato a tradurlo. Vivendo in Kenya ha voluto imparare anche lo Swahili. Alcuni termini in swahili effettivamente sono presenti in Sognavo l’Africa. All’inizio mi confondevano, non riuscivo a trovare un immagine corrispondente ad essi, (C’è un utile glossario alla fine del volume !); però alcuni mi hanno sorpreso, perché senza che lo sapessi erano già entrati a far parte del mio bagaglio conoscitivo ben prima di questa lettura : ‘Simba’, e ‘Kimbo’ ad esempio, saranno senz’altro di facile intuizione anche per voi. Tutto ciò è affascinante, mi ha fatto venire voglia di imparare la lingua.
”La nostra vita insieme era stata piena e sapevo d’essere stata privilegiata soltanto nell’aver potuto accumulare ricordi, condividere avventure, camminare al suo fianco fino alla fine della sua strada. Eppure soffrivo per non essere stata con lui mentre stava morendo, come se, senza volere, l’avessi tradito” – p. 164
Sognavo l’Africa non è, almeno nei primi capitoli, dopo il grande hook iniziale (l’incidente stradale e la decisione di cambiare vita), un romanzo intriso di suspence. Kuki descrive gli eventi con calma ascetica, e sembra di essere lì, seduti in cerchio attorno a un fuoco, mentre lei li vive e li ricorda. Ci si sente attratti, leggendo queste pagine, dal tipo di vita straordinaria che ha scelto per lei stessa, dalla condivisione di tale scelta tra i membri della famiglia, e molto coinvolti dalla ‘più piccola’ disavventura (ad esempio, gli elefanti che a più riprese irrompono nel suo giardino ben curato), dai molteplici incontri ; mentre leggevo avevo su di me il tepore del caldo sole africano, e avvertivo i brividi sulla pelle al sentire delle premonizioni di Kuki. L’autrice ravviva l’interesse facendo capire che non è finita qui, che questa vita in mezzo alla natura selvaggia apparentemente meravigliosa e ricca di sorprese riserva in realtà qualcos’altro, custodisce in sé un tremendo segreto : c’è sempre un prezzo, che l’Africa esige in cambio di tutto ciò. La morte qui abbraccia la vita, la culla, la accompagna ogni giorno. Con le nascite e i matrimoni, arrivano anche i lutti.
La morte di Paolo è un colpo al petto, di quelli che ti privano di tutto l’ossigeno. E’ la cesura tra la prima parte del libro e la seconda. Ho accompagnato Kuki attraverso il suo dolore, che emergeva come un urlo silenzioso da ogni singola parola, e ho assistito incredula alla sua rinascita. Dalle ceneri, un araba fenice.
L’ho vista sobbarcarsi di nuove, pressanti responsabilità, oltre a quella di madre, (di Emanuele, e della piccola Sveva, nata pochi mesi dopo la morte del compagno), anche quella di padrona del ranch, paladina della lotta al bracconaggio, con una forza d’animo e una determinazione impressionanti. E lei ammette, questo libro è una commemorazione, ma anche un ringraziamento, a tutti gli amici rimastele sempre accanto, che sulla carta ha fatto risplendere di mille tinte vivaci e sfumature poetiche.
”Quel paesaggio esisteva già molto tempo prima del nostro avvento, e avrebbe continuato a esistere dopo che me ne fossi andata. Non solo non avevo diritto di rovinarlo, ma dovevo impegnarmi a proteggerlo”
”Era necessario un piano d’azione per proteggere gli animali selvatici : per quanto potesse costare, ero decisa a riuscire”
Si ha la netta sensazione, leggendo, che la narrazione sia ad un punto di svolta. Le acque ‘calme’ si increspano e si inizia a percepire una corrente agitata sotto la sua superficie. La morte di Paolo, e quella, ancora più tragica, del figlio Emanuele, a soli tre anni di distanza (leggere della sua morte è stato come leggere della fine del mondo), sono eventi che stravolgono Kuki, ma le danno anche la spinta per impegnarsi in qualcosa di apparentemente molto oltre le sue possibilità. La difesa di quella terra che aveva accolto e nutrito la loro famiglia. Così nasce, dalla preghiera all’ombra di due acacie della febbre gialla, la Gallmann Memorial Foundation. Sognavo l’Africa è una storia vera, dalla quale non è possibile operare un distacco emotivo. E una storia passata, con le sue luci e le sue ombre, si ricongiunge, alla fine della lettura, ad una lotta ancora in corso, ancora tutta da giocare.
note personali aggiuntive :
+ La fortuna e il privilegio di crescere in Africa, in Kenya, dove non è strano entrare in contatto con culture, tradizioni, religioni diverse, è spesso ricordato dall’autrice, specie in relazione alla crescita della figlia Sveva.
+ la morte di Emanuele, a soli diciassette anni, è un dramma ancora più duro da digerire, e lascia un solco profondo nell’animo della madre. Mi sono immedesimata più che mai nel dolore straziante di questa donna, che dopo il marito perde anche il primogenito.
+La fatalità che domina la vita di tutti i giorni ed il rischio che un uomo corre pur di seguire le proprie passioni sono altri due temi ricorrenti in Sognavo l’Africa. La passione di Ema era l’allevamento e lo studio dei serpenti. Chissà come dev’essere, mi chiedevo, scorrendo i paragrafi che lo evocavano mentre il pitone gli si inerpicava lungo il braccio e gli si arrotolava poi tra spalle e collo … Chissà come dev’essere, camminare passo dopo passo a braccetto con la morte, col sorriso sulle labbra.
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altri libri di Kuki Gallmann :
Notti Africane (1994)
Elefanti in Giardino (2001)
La notte dei leoni (1998)
Il colore del vento (1995)
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Kuki & Sveva