Recensione ottobre 2019 – Kobane Calling

Zerocalcare non ha davvero bisogno di presentazioni. Quest’anno davanti allo stand Bao Publishing del TCBF, una lunga coda di fan e appassionati lettori attendeva paziente sotto l’ultimo sole estivo, proprio per incontrare lui e ottenere un disegno e un autografo. Varie le pubblicazioni: da Dimentica il mio nome a Macerie Prime, da Un polpo alla gola a La profezia dell’armadillo, ogni pagina svela un pezzetto in più del puzzle “Michele Reich”, condividendo con il lettore timori e patemi del crescere, riflessioni e idealismi, valori e contrasti… nonché la sua dipendenza da plumcake e l’amore per Rebibbia, il suo quartiere, che se prima era nota solo per il carcere, grazie a lui viene ricordata per la storia del Mammuth, (v. Museo del Pleistocene, Casal dei Pazzi).
In questi giorni però, per giunta all’approssimarsi del 4 novembre, le notizie dal nuovo fronte di guerra ci portano a considerare una sua opera del 2016: Kobane Calling, un reportage a fumetti che racconta i suoi viaggi da staffetta in Kurdistan, nel pieno della resistenza contro l’ISIS. Nei risguardi iniziali del volume è stampata la mappa con i luoghi del primo viaggio, compiuto nel novembre del 2014, mentre in quelli finali la mappa del secondo viaggio, nel luglio del 2015, dove il “puntino bianco coatto” che era la città di Kobane, assediata e circondata, è diventato una striscia di territorio che arriva fino alle porte di Semelka, al confine con l’Iraq. In mezzo, la vita di tutti i giorni che procede “sempre in bilico tra corse e impicci, imbrogli e accolli”.
In 261 pagine dense e tostissime ritroviamo l’elemento biografico, l’umorismo romanesco e l’abbondanza di citazioni della cultura nerd tipici dell’autore. La voce schietta e venata di ironia di “Calcare” testimonia con spirito critico e forte coinvolgimento emotivo l’incontro con il popolo curdo e la sua resistenza, a dispetto di Daesh e delle mire politiche di Erdogan, il districarsi tra sigle come PKK e YPG, nonché la sua esperienza in Rojava, un territorio dal 2018 denominato Federazione Democratica della Siria del Nord. Uno sguardo scoperto e curioso il suo, senza ipocrisie né pregiudizi, che si fa strada pian piano tra la polvere e il fragore lontano delle bombe, la luce dei traccianti, le parole e i canti dei civili e dei combattenti riuniti a Mehser, villaggio turco “a tre fermate di metro” da Kobane.
Ma cosa porta Zerocalcare nei pressi di un paese in guerra? Nella prima parte del reportage le tavole cercano di rispondere a questo interrogativo elencando alcune delle ragioni più ovvie: il bisogno di capire e di fare informazione vera, lontana dalla disarmante semplificazione dei mass media, documentando quindi la vita delle persone, non solo il numero dei caduti e la tipologia delle armi impiegate; il desiderio d’essere riconosciuto come fumettista impegnato; il senso di giustizia nel difendere il Rojava, che indica una via di convivenza pacifica per tutto il Medioriente. Sveglio a notte fonda, sdraiato sul pavimento di una Moschea piena di rifugiati, volontari, staffette come lui e combattenti, Zerocalcare si chiede quale sia in realtà la ragione più vera e la più grande che lo ha spinto a partire, a compiere un viaggio che molti definirebbero una follia.
Ed ecco la risposta, a pagina 42:

“I cuori non sono tutti uguali. Si modellano, si sagomano, sulle esperienze. Come un tronco che cresce storto adattandosi a quello che c’ha intorno. E tutto quello che ha dato forma al tuo… Gli insegnamenti, le cose trasmesse, quelle che ti hanno fatto piangere, quelle che ti hanno fatto ridere, il sangue che ti ribolliva dentro e quello che ti hanno fatto sputare fuori. Ogni cosa. Oggi sta a Kobane”.


Se c’è una cosa che non manca in queste tavole, è proprio il cuore.
Di Kobane Calling si apprezzano anche l’humor, spesso incarnato nel Mammuth di Rebibbia, e la capacità di fare riflessioni complesse in una sintesi di poche pagine, senza pretese, senza la volontà di far cattedra, ma con una presa di posizione netta che alla voce grossa e al bigottismo cieco di certa politica oppone la forza dei fatti, della Storia.
La ricerca della verità raddoppia gli sforzi nel racconto del secondo viaggio, che ci porta, con qualche rocambolesca deviazione, tra i monti di Quandil e a Qamishlo, a Derik e poi a Kobane, una città in macerie, accompagnati tra gli altri da donne combattenti come Ezel, che porta con sé ancora il trauma dei mesi passati da bambina nelle carceri turche, e Nasrin, che ha perso un fratello e molti compagni. Lei, che ha addestrato tanti dei caduti, dice: “Abbiamo tutti dovuto vedere cose orribili in questa guerra. L’unica cosa che ci salva… è ricordarci il senso di quello per cui stiamo combattendo”. Non sono parole banali, se pronunciate al Cimitero dei Martiri di Derik, dove famiglie arabe, curde e assire, musulmane, cristiane e yazide, traggono conforto dalla reciproca vicinanza. Zerocalcare ci parla di una lotta che dura da quarant’anni. Un percorso comune ispirato agli ideali di Abdullah Öcalan per raggiungere una convivenza pacifica e civile dei popoli all’interno di uno stato laico, che non tenga conto di etnie e religioni, che non faccia differenze di genere e che lotti contro il sistema capitalista, in difesa dell’ambiente.
Alla fine di queste tavole in cui alla risata si alterna spesso la commozione, non si può rimanere indifferenti alle sorti del Rojava e del popolo curdo. È certo che con la sua opera Zerocalcare ha avuto il merito di gettare una luce sugli aspetti della resistenza curda più ignorati dai mass media.
Kobane Calling a distanza di tre anni si riconferma una lettura fondamentale e attuale.

Questa recensione è stata pubblicata nel n.75 de “La Salamandra”, rivista interscolastica ed universitaria di Treviso.

Pubblicità

Commenti a caldo – Io non sono un albero: storia di un esilio persiano

Chiudo ora con un sospiro dolce il romanzo d’esordio di Maryam Madjidi. Quello che ho tra le mani è un libro dalla struttura molto particolare: racchiude in sé un misto di brani che sembrano gocce versate direttamente dall’otre della memoria, registrazioni, racconti in forma di fiaba, poesie

E’ in effetti difficile definirlo “romanzo”, in quanto somiglia più a uno zibaldone, le cui date si susseguono alla rinfusa, senza alcun rispetto della cronologia storica, ligie piuttosto nel loro collocarsi alla sequenza tematica. L’autrice narra della sua infanzia in Iran, degli anni difficili che seguirono la Rivoluzione, dell’esilio che strappò le radici della sua famiglia e tentò di ripiantarle – con grande dolore, sacrifici e molte difficoltà – a Parigi. “Io non sono un albero“, dice Maryam, che nella sua vita ha viaggiato sino ai quattro angoli del globo. Non è del tutto iraniana agli occhi dei suoi conterranei, né del tutto francese in Europa. Vive in un limbo difficile da abitare e da spiegare, un limbo che racchiude in sé il trauma della perdita di tutto ciò che lei aveva di più caro; ma con parole semplici e metafore poetiche Maryam scosta il pesante arazzo e rivela il sentimento puro, l’emozione feroce, la ferita sanguinante, il fantasma della lingua persiana che a lungo ha insidiato il rapporto tra lei e il padre, un rimpianto terribile. “Io non sono un albero” è una storia di crescita, d’amor patrio e d’amor letterario, di sofferenza e di conquista. A livello stilistico non ho molto apprezzato i dialoghi: sin troppo rivelatori della finzione, mi sono sembrate come citazioni che mal si incastrano con il puro atto della ricostruzione mnemonica. Mi ha affascinato però tutto il resto, specie per la sua capacità di trasmettere con estrema sincerità l’esperienza dell’autrice: da fragile ragazzina rifugiata in terra straniera, a donna padrona di sé, laureata alla Sorbona e con la valigia sempre pronta. Ammetto senza vergogna di aver fatto le orecchie ad almeno quattro pagine di questo libro, perché ci sono dei passaggi che sicuramente amerò tornare a rileggere.

Commenti a caldo – Crooner

Ieri sera, in una mezzora prima di andare a dormire, ho letto il racconto di Kazuo Ishiguro pubblicato da Einaudi a fine 2018. L’ho preso in prestito in biblioteca, incuriosita dal formato e dalle immagini, convinta che avrei ritrovato la voce che mi aveva tanto colpito con “Il Gigante Sepolto”.

“Crooner” è una narrazione musicale e malinconica, ambientata nella Venezia dei turisti, quella delle orchestre e dei bar di piazza S. Marco e delle gite in gondola lungo i canali. L’accompagnamento delle illustrazioni di Bianca Bagnarelli, unita al narratore in prima persona, rende affascinante l’esperienza di lettura. L’ideale per me sarebbe ascoltare questo racconto, più che leggerlo, con il sottofondo sonoro dei brani citati. Ricorre il tema prediletto di Ishiguro, la memoria e la sua influenza nelle relazioni. Poi c’è la musica, c’è l’ombra di Sinatra, c’è Venezia, ci sono la vanità e l’estetica di Hollywood, l’incontro con il mito che si svela poi essere tristemente diverso dall’artista immaginato. C’è un’ultima serenata d’amore prima di dirsi addio, ed il motivo di questo addio infine, che spiazza e delude.

©Bianca Bagnarelli



Ho passeggiato per Venezia tante volte, così l’ambientazione di Crooner è risultata più che familiare, gradita e intimamente conosciuta. Mi pareva di sentire l’aria umida della sera che circola tra le calli, il gemito dei gabbiani in lontananza, il vociare dei gondolieri e il tramestio dei bar con i tavolini a ridosso dell’acqua verdenera.

Purtroppo, la storia in sé non mi ha particolarmente coinvolto o emozionato, il che mi dispiace. Sono però curiosa di leggere gli altri quattro racconti, contenuti nel libro “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo“, edito da Faber & Faber nel 2009.

Un tuffo in Nigeria

Il mio febbraio è volato tra le pagine bagnate di Nnedi Okorafor e quelle insanguinate di Tomi Adeyemi, alla scoperta di una Nigeria spaziale, magica, affascinante, pericolosa e sempre emozionante.

Nnedi Okorafor – TED TALK

“Laguna”, (che ho recensito per Lovingbooks e per la rivista interscolastica di Treviso “La Salamandra”), è un romanzo di fantascienza che si inquadra nell’afrofuturismo. Non privo di difetti, ha però il merito secondo me di affascinare il lettore con le sue visioni e di porre importanti domande. E’ una storia che ha a cuore l’ambiente, l’educazione al di sopra di superstizioni e fanatismi, i diritti umani. Tenta di immaginare un futuro diverso per le nostre società, e per farlo, innesca un’invasione aliena al largo di Lagos. Personalmente ho adorato la fisicità di Udide, di Ijele e della Collezionista di Ossa, che mi hanno ricordato un po’ alla lontana le reincarnazioni formidabili di American Gods. La varietà dei punti di vista, sia umani che animali, è un altro punto di forza. Trovarsi a percepire una scena con i sensi di un pipistrello, di un pesce spada o di una tarantola è un’esperienza di lettura che ripeterei volentieri!

Ho già speso molte parole per “Laguna” e per la splendida Nnedi Okorafor, autrice anche del premiato “Chi Teme la Morte”, e che ritroverete su questi schermi con un mio commento per Binti, ma vi consiglio di entrare in contatto con Ayodele, Agu, Adaora ed Anthony: le loro storie e la loro città potrebbero sorprendervi.

E’ quindi tempo di conoscere meglio Tomi Adeyemi, che a soli 24 anni si è guadagnata il primo posto nella classifica dei bestseller per giovani adulti del New York Times e un’intervista al Tonight Show, ospite di Jimmy Fallon.

Tomi Adeyemi

Lagos è ricomparsa sulla mappa di Orisha in “Figli di Sangue e Ossa”, ma questa volta come città completamente trasformata. Condivide però un punto fondamentale con “Laguna”, che è l’incorporazione della mitologia africana. L’autrice ha immaginato un mondo fantastico in cui parte della popolazione ha perso la propria magia, la connessione con gli antichi dei, e vive in schiavitù e segregazione sotto il governo di un sovrano corrotto dall’odio e dalla vendetta. Un riferimento all’attuale situazione statunitense, che ci riporta a The Hate U Give di Angie Thomas: lo scopo più alto di questo romanzo è risvegliare empatia e sete di giustizia.

Zèlie, Amari, Tzain e Inan mi hanno commosso più e più volte durante la lettura. “Figli di Sangue e Ossa” non si è lasciato posare, mi ha stregata, ha stimolato la mia immaginazione come non accadeva da tempo. La storia segue alla lettera la ricetta del perfetto bestseller, perciò non mi stupisce il suo successo e neppure il suo futuro cinematografico: il livello di tensione e la posta in gioco si alzano a ogni capitolo, la caratterizzazione è tale che anche personaggi secondari come Mama Agba, re Asan, sua moglie, la piccola Zu o Roën restano scolpiti nella memoria e hanno innescato in me una curiosità tremenda. L’ambientazione è dinamica e vivace, quanto realistica: si passa da un villaggio di pescatori a un palazzo reale, dalla giungla al deserto, da un’arena sanguinosa a un tempio antico. Non ho mai avuto la sensazione di vedere un bel quadro, ero totalmente immersa nella storia. Vogliamo parlare delle leonere e delle ghepardere delle nevi? Cavalcature mitiche e animali da guerra, ed è subito Narnia…

Ho amato più di ogni altra cosa la percezione della magia, il suo funzionamento e il legame profondo con la mitologia africana, presente non solo nelle esternazioni di potere dei personaggi, nella lingua yoruba usata per le invocazioni, nelle nomenclature dei Clan, ma anche, a un livello meno evidente per un lettore non consapevole, nel ruolo che in questa storia ricoprono gli antenati e le coppie di fratelli. Zelì e Tzain, Amari e Inan non sono gemelli, ma sicuramente hanno carattere di dualità, sono il sole e la luna, si scontrano continuamente e si riuniscono in eterna tensione.

Il finale mi ha soddisfatto ed entusiasmato, lasciandomi con un grosso punto di domanda, e con un’aspettativa pazzesca per quello che sarà il seguito di questa trilogia. Inutile dire che ve ne consiglio vivamente la lettura!

Ottobre 2017 – Le Otto Montagne

Titolo : Le Otto Montagne

autore: Paolo Cognetti

casa editrice: Enaudi, 2016

E’ una storia essenziale e profonda ad aver vinto quest’anno il Premio Strega: parliamo del libro Le Otto Montagne di Paolo Cognetti, edito da Enaudi nel 2016. In quasi duecento pagine, il racconto della vita di una famiglia e di due amici, che si sviluppa all’ombra delle Alpi. Scorre veloce, ma nella sua apparente semplicità scava a fondo, sa di verità, e poggia su un linguaggio limpido, che senza mai cercare di darsi un tono ci offre poche ma importanti metafore, dal senso tangibile: luccicano appena nella pagina, come luccica a tratti il ghiaccio sulla vetta. Ascoltiamo Pietro Guasti, un ragazzino che, tra salite e discese sul fianco della sua Montagna, diventa uomo. Lo osserviamo procedere un passo avanti all’altro e farsi forza trattenendo i conati, con suo padre alle spalle a vegliare sull’arduo cammino, che non prevede pause di ristoro. Una fatica da matti, per conquistare la cima e per tornare all’origine, a quella sorgente che è madre del futuro, così come il ghiacciaio, contenitore di inverni passati, è padre del ricordo. Domina il silenzio, il non detto, spezzato nella prima parte solo ogni tanto da scambi brevi e duri, tra Pietro e suo padre Gianni, e tra Pietro e Bruno, il suo più caro amico; gli uomini non si parlano mai troppo, a volte quasi per niente. Fanno passare anni, senza dirsi nulla, forse senza mai capirsi davvero, ma al ritrovarsi è come se non fosse trascorso un secondo, nonostante l’allargarsi delle conoscenze e degli affetti, e l’aumentare di rughe, occhiaie, capelli e pensieri grigi. In mezzo, il lavoro di cucito di una donna che tende ai loro legami affettivi come fossero cuccioli da accudire. Ed ecco che i brevi dialoghi piano piano si trasformano in discorsi, i non detti tentano sbocchi e percorsi nuovi per venire a galla, assumono la forma di progetti. Questa è una storia di uomini che amano così intensamente la roccia che tocca il cielo, al di là del bosco, da non poter vivere da nessun’altra parte: la montagna crea una barriera fisica tra loro e la società cittadina, di pianura, col traffico e l’inquinamento, il sovraffollamento, la frenesia continua. La montagna è un rifugio per solitari che impone il suo tributo, in un modo o nell’altro: non offre al cuore alcuna via di scampo, lo lascia scoperto, che sia a godere del calore di una vecchia stufa, con a fianco un amico, o al gelo di un inverno senza fine. Quello che più colpisce, nella scrittura di Cognetti, oltre alla suggestione di un romanzo che ha il sapore di un’autobiografia, sono le descrizioni. La Montagna non è solo l’ambiente, è il personaggio. E’ abete, cembro, ghiaccio, neve, pascolo, larice, rododendro. E’ una serie di nomi precisi, come “berio”, pietraia, che danno al racconto una vera e propria fisicità, e a noi l’impressione di avere a che fare con un corpo e di poterlo toccare con mano. Nel suo blog, paolocognetti.blogspot.it, l’autore definisce così la questione, in un dialogo con Lars Mytting (Norwegian Wood, Sedici Alberi) :

“Dovremmo essere esponenti di un nuovo nature writing, […] un bisogno condiviso di uscire dalle città e recuperare ciò che abbiamo dimenticato là fuori. Ma sappiamo entrambi che la natura esiste solo nella testa dei cittadini. Per chi ci vive in mezzo la natura che cos’è? Un campo coltivato, un bosco di cui l’uomo taglia gli alberi, una costa modellata dal lavoro, una montagna abitata e poi inselvatichita: la cosiddetta natura è un mondo di segni e di nomi, di storie, di relazioni, per questo entrambi preferiamo la parola paesaggio. E “scrittura del paesaggio” è una definizione che potrebbe andarci bene.”

Commento personale: leggere Le Otto Montagne è stato un assoluto piacere. Mi è sembrato di non aver mai conosciuto davvero la montagna, prima di aver letto questo libro. Lodo la sua grande sensibilità, il suo saper emozionare e suscitare meraviglia, per non parlare della bellezza e della sostanza del suo stile narrativo, capace di offrire sensazioni tattili e visive molto precise. Mi ha fatto desiderare di infilare gli scarponi e partire.

*questo articolo è contenuto nel n. 65 del giornale interscolastico di Treviso

The One plus One

QUESTA RECENSIONE FA PARTE DELL’ELENCO REVIEWS II, LUGLIO 2015. In inglese, perché ho letto il libro in lingua appena uscito, e questi sono i pensieri scritti  a caldo, nella stessa lingua.  E’ passato più di un anno, ma pareva brutto lasciarla chiusa nel mio quaderno. Come si suol dire, meglio tardi che mai !

-§-

I had a bad migraine in the past few days. I can’t help. Some periods my head hurts so much that I can’t cope with anything; even reading, writing and listening to music, some of the things I love to do the most, become impossible activities. I just know that if I insist to indulge in one of those, I will have to struggle with pain even more the following hours. There are exceptions. There are books that refuse to be closed, even if this means that you will pass out from pain.

THE ONE PLUS ONE

The One Plus One by Jojo Moyes was one of those books.

I bought it months ago, soon after its publishing. I couldn’t wait for the italian translation, not even the few months it occourred to come out; cause I had in mind the feverish sensation the reading of Me before You gave me.

It tooks me three days to finish The One Plus One, without even discount the hours of work. Three days of crying and laughing with the earth in my throath, or in the pages.

It was impossible leaving this story, even with the massive headache I was suffering.

The One Plus One talks about what it means to be part of a family, to love, and to confront the struggles of the real life. Life does not watch anyone in the face. Nor the poor, nor the rich. Bad things happens. Everyone commits errors, or have ill thoughts in desperate moments. Nice things happen too, even when you are not expecting them at all. Keep going. Never give up. Its get better. It will be okay. Seems a bunch of bullshit, isn’t it ? But Jess Rae Thomas and her crazy family will make the reader confident and full of hope about what life can reserve, if only you … keep going. And again. The world is full of dangers and bad person. But when in need, you can count in the kindness of strangers. I could tell you something about the kindness of strangers. It is a real thing. A real, real, thing. Crossed fingers on my heart, I swear it. Then, you don’t need to love romance, to simpatize with Ed and Jess. You don’t need to love math to feel for Tanzie, to admire her and hope for her future and smile and laugh and cry for her.

And surely, you will love Nicky, its own craziness, he “being different”, but not in the way you expected, he being vulnerable but kind and protective and observant. You will want to punch that monster of Jason Fisher in the face. And probably, at the end, you will be satisfied and happy and sad at the same moment, with puffy eyes and all …

Let me tell you sincerely, I will pay this stunt, but it was worth it. Like a crazy, amazing, full-of-trouble journey from England to Scotland in a Audi that could not go over 40 h/km with an enormous farting dog (you will love Norman, too !),  bags of inconvenients, and not so much rest !

Really, it was worth it. You will love it. It is a true story, eventually it gets better, if you only permit yourself to fight, to be honest and to love.

Carry On !

titolo :  Carry On

autore : Rainbow Rowell

ed. : Macmillian, 2015 ; Piemme, 2017

540 pagine 

Risultati immagini per carry on piemme    Risultati immagini per carry on piemme

Simon Snow è il peggior prescelto di sempre. Questo è ciò che sostiene Baz, il suo compagno di stanza. Baz potrà anche essere un vampiro e un nemico, ma ha probabilmente ragione. Per la maggior parte del tempo infatti Simon non sa far funzionare la sua bacchetta, oppure non sa controllare il suo inestinguibile potere mandando tutto a fuoco. Il suo mentore lo evita, la sua ragazza lo ha lasciato, e un mostro con la sua faccia si aggira per Watford, la scuola di magia in cui frequentano l’ultimo anno. Allora perché Baz non riesce a fare a meno di stargli sempre intorno?

Recensione 

Per chiunque sia appassionato in generale al mondo incantato di Harry Potter : vi ho trovato molte corrispondenze, l’ispirazione è dichiarata, indubbia; ma tante sono le similarità quante sono le differenze. Mi ha divertito e al contempo affascinato l’importanza della lingua nell’uso della magia, tanto che in questa storia appaiono incantesimi buffissimi, a metà tra filastrocche, proverbi, comuni modi di dire e motti pubblicitari. I personaggi sono pieni di colore, e qui è possibile entrare nella testa di molti di loro, perché la Rowell conduce la narrazione attraverso una pluralità di punti di vista. I capitoli sono perciò segmenti molto brevi che rendono la lettura davvero rapida ma a volte anche un po’ frustrante. La struttura però non mi sorprende : appartiene alla Rowell sin da Eleanor & Park ed è tipica degli Young Adult. Inoltre qui si rendeva necessario condensare un “non scritto” di sette anni, che sarà familiare forse solo a chi ha letto Fangirl, e il p.o.v multiplo era l’unico modo per farci conoscere una valanga di personaggi e situazioni in sole 500 pagine. Non ho compreso fino in fondo il ruolo di Agatha, la sua importanza nella storia, se non alla fine, quando esce fuori il suo pensiero su Ebb : allora ho trovato la scelta di inserire anche il suo punto di vista davvero azzeccata. Lucy mi infastidisce e mi intenerisce insieme : è uno strumento nelle mani del lettore, ma la sua presenza si rivela importante solo fino ad un certo punto. Simon e Baz restano gli indiscussi protagonisti -anche se sorge spontaneo fare immediato riferimento a Harry e Draco, la Rowell sviluppandone carattere e storia ha saputo distaccarsi brillantemente dal modello. Non posso dire che mi siano rimasti nel cuore, ma ho letto fino a notte fonda perché volevo assolutamente sapere come sarebbe finita (o iniziata), tra loro. Il finale in un certo senso mi ha sorpreso, specie per quello che capita a Simon. Che dire di Penny ? E’ un comico misto di Ron, Hermione e Luna Lovegood nella stessa persona, amabile e decisiva. ** spoiler alert ** Per quanto riguarda gli antagonisti, è stato secondo me un colpo di genio far confluire la massima rappresentazione del bene e del male nei medesimi personaggi, anche se considero la figura dell’Arcimago un po’ scontata e prevedibile.

In poche parole, è una lettura leggera, non impegnativa ma nemmeno priva di interessanti riflessioni. Ancora una volta si tratta di abbattere muri e pregiudizi, unire le forze, svelare segreti, attraversare passaggi segreti, affrontare il dolore, la morte … ma in special modo Carry On considera la paura di agire, di essere, di amare e di amarsi.

Risultati immagini per carry on rainbow rowell new cover

L’Orologiaio di Filigree Street

Salve lettori e amici bibliofili ! Torno a sorpresa con una recensione che non poteva aspettare, dato che il libro in questione è in questi giorni nelle vetrine delle nostre librerie. Lo avrete già notato perché ha una copertina stupenda, ma a parte questo, il contenuto non è da meno …

titolo : L’orologiaio di Filigree Street

autore :  Natasha Pulley

casa editrice : or. : Bloomsbury USA, 2015 – trad. : Bompiani, 2017 

384 pagine

 

l'orologiaiodifiligreestreet

 

 

L’ho letto con estremo piacere. Mi è scivolato addosso e in due giorni mi ha tenuta avvinta a sé come se avesse le braccia meccaniche ma estremamente fluide del polpo Katsu. Chi è il polpo Katsu ? Uno degli eccellenti personaggi di questa storia. Partiamo da loro : se da un lato “peccano” di una descrizione fisica a volte troppo allusiva, mai definita, affatto imperfetta ma direi piuttosto liquida, dall’altro si presentano tutti con vividi colori, tanto che è impossibile confonderli nei dialoghi e nelle azioni. L’orologiaio K.Mori è a mio parere il più riuscito, con una storia personale di cinquant’anni tra Giappone e Inghilterra ottocenteschi, condita da un alone di mistero che permea tutto il corso del romanzo; ma quello che suscita in me più profonda ammirazione, interesse e anche, se vogliamo, tenerezza, è Mr Steepleton, Thaniel, il vero protagonista. Un semplice impiegato all’inizio, il più improbabile degli eroi, che però fin da subito rivela una peculiarità molto speciale, portata sulle pagine col miglior effetto stilistico. Quando al suono si unisce il colore, c’è di che rimanere incantati. Inoltre dimostra di avere in dote sorprendente caparbietà e resilienza. E’ come un lago calmo dalla superficie grigia e uniforme, che d’un tratto rivela le sue sfumature e i tesori nascosti nelle sua profondità. A loro si unisce per vie traverse Grace, una studentessa di Oxford col pallino degli esperimenti esplosivi, una scienziata in cerca di laboratorio, con una madre che nel frattempo cerca di darla in sposa. Grace è irruenta e determinata, dalla mente sveglia e brillante, affatto incline alle tendenze e ai costumi della società, che la vorrebbe sempre protetta e accompagnata, per non dire controllata.

L’orologiaio di Filigree Street è un vero e proprio incastro di meccanismi precisi e delicatissimi. Spostane uno e tutta la trama prenderà pieghe inaspettate, assolutamente sorprendenti.

Questi meccanismi si muovono in un’ambientazione storica così curata e ricercata che risulta piacevole leggere anche solo per scoprirne i dettagli. Il nazionalismo irlandese, il villaggio giapponese di Hyde Park, la bomba a Scotland Yard, il movimento delle suffragette e la condizione sociale femminile, la costruzione della metro di Londra, il telegrafo, gli studi sull’etere luminifero, le prime lampadine elettriche … Leggere è stato come osservare un quadro davvero ben assemblato, mi dava la sensazione di poter essere lì. Un viaggio nel tempo ricco di fascino, che include anche un bel po’ di cultura nipponica. In particolare, mi è piaciuto da matti il laboratorio di Mori, con tutti i suoi congegni e le sue invenzioni a dare un’impronta quasi steampunk, e mi è piaciuta la descrizione di tutta Filigree Street, così ben fatta che potrei giurare di averne scorto la fotografia da qualche parte.

Siamo a Londra, nel 1884. Sotto la minaccia delle bombe del Clan Na Gael, un semplice impiegato dell’Home Office, scapolo con una sorella e due nipoti da mantenere, prosegue la sua vita scandita dal lavoro al telegrafo, quando, in circostanze assai strane, rincasando ritrova nel suo appartamento un orologio d’oro. E questo ritrovamento darà il via a un vero e proprio sconvolgimento della sua esistenza. Tra indagini della polizia, misteri da risolvere, bombe che non si trovano, Thaniel si ritrova catapultato al centro degli eventi. Il suo incontro con K.Mori avviene sotto le circostanze più improbabili, e la sua relazione con lui si evolverà lentamente ma inesorabilmente e lo trasformerà  nell’uomo che ancora non aveva avuto il coraggio di essere. Ho adorato la loro storia, il loro speciale rapporto, dall’inizio alla fine; reputo l’inserimento di Grace provvidenziale in certi casi, antipatico ma necessario in altri, e nonostante questo rimane un bellissimo personaggio. Ciò che lega tutti e tre, credo, è il bisogno primario di costruirsi un futuro in cui possano essere ciò che vogliono e di amare chi vogliono. L’orologiaio di Filigree Street affronta il tema dell’essere chi si è  in base alle coincidenze, ai piccoli grandi eventi della nostra vita. Fino a che punto una persona in grado di prevederle, potrebbe modificare il suo destino e quello di altri? E a quali conseguenze andrebbe incontro?

L’epilogo, quel bullone lanciato in aria di cui non parlerò per non rovinarvi la sorpresa, mi ha fatto davvero sorridere, l’ho trovato una splendida conclusione, una perfetta quadratura del cerchio.

In due parole, per me è un piccolo capolavoro nonostante la conclusione, in particolare la risoluzione del mistero centrale, sembri giungere con la rapidità di un treno in corsa; scritto davvero bene, con dei picchi stilistici che ho apprezzato davvero tanto, è un romanzo che senz’altro amerò rileggere e di cui già sento la mancanza.

Consiglio di lettura : accompagnare con tazze di tè al limone, quanto basta.

Angolo confessione : Più di tutto, mi manca il polpo Katsu. Mi ha fatto lo stesso effetto dello Snaso, il che vuol dire che passerò il prossimi giorni a tormentarmi per la sua non esistenza. 

 

Recensione : Verso Le Luci del Nord

luci-del-nord

 

 

VERSO LE LUCI DEL NORD –  Drove trough ghost to get here

di Alessia Savi

ed.: indipendente, Kindle ebook

anno di pubblicazione : 2016

428 pagine

sito ufficiale : www.alessiasavi.com

pagina facebook : Il Posto delle Parole

 

Premessa

Adoro Supernatural. Sembrerà una cosa scema da dire adesso, ma sul serio, adoro Supernatural, la serie tv con protagonisti Sam e Dean Winchester. Adoro il soprannaturale in tutte le salse, amo il fantasy, e sguazzo nelle distopie, anche se leggo e guardo ogni cosa sempre con quel vuoto alla bocca dello stomaco, quella sensazione che esplica il pensiero : se fosse vero sarebbe terrificante, e non vorrei viverlo per niente al mondo. Ecco. Da un lato il fascino dei personaggi, che seguiresti anche in capo al mondo, per millemila stagioni, pur di stare in loro compagnia ancora un poco. Dall’altro il terrore sottile che ti prende, quando si fa strada dentro di te l’idea che, anche se i nostri demoni oggigiorno hanno altri nomi, gli esseri umani la strada per l’Apocalisse sono bravissimi a percorrerla da soli, in fila per due come tante marionette a testa china, in un silenzio assenso che spacca la barriera del suono. Il nostro Inferno in terra è fatto di guerre e di crisi economiche, di schiavi, di rifugiati e di morti di fame, di libertà in equilibrio precario e di dittature, di intolleranza e crudeltà senza ragione, di ghiacciai sciolti, acque inquinate, foreste stuprate. La strage degli innocenti si compie ogni giorno sotto il nostro naso e sembra non esserci soluzione per fermarla. Così ammetto che leggendo VERSO LE LUCI DEL NORD ho quasi trovato conforto, perché nonostante la realtà descritta sia terrificante, davvero terrificante, i suoi protagonisti si rimboccano le maniche e agiscono, e hanno il carisma e il fascino necessario per essere davvero grandi, ma soprattutto hanno la conoscenza, il ricordo di come era prima, la speranza che il loro agire possa aiutare a riportare la pace e l’equilibrio. Sono personaggi a tutto tondo, con pregi e difetti, e questo mi ha dato la possibilità di calarmi nei loro panni. Soffrono moltissimo, cadono un sacco di volte. Ma si rialzano. Continuano a combattere, spuntando sangue e versando lacrime. Sono, in poche parole, un esempio di come un eroe della letteratura fantastica possa essere un modello e un monito per noi, che realmente percorriamo queste terre. Quando trovo personaggi così, storie così, inevitabilmente me ne innamoro, e non posso fare a meno di sentirmi ispirata e un po’ più speranzosa. Se qualcosa di solito ti insegna, la letteratura di questo genere, è che, anche quando tutto sembra perduto, anche quando ci troviamo a percorrere le tenebre più fosche, c’è sempre la possibilità di ritrovare la luce. O di crearla.

Su trama, ambientazione e personaggi

Questo libro non si lascia posare. Verso le Luci del Nord è scritto in un linguaggio onesto e coerente, ed ha uno stile narrativo fluido e scorrevole, talmente tanto che all’inizio avevo l’impressione che mi mancassero troppi pezzi per seguire bene l’evolversi degli eventi : zero infodump. Dopo poche pagine sono stata catturata, senza possibilità di fuga alcuna. Risucchiata in una Terra post-apocalittica, terrificante e allo stesso tempo affascinante, in cui tutte le creature dell’Inferno sembrano aver preso residenza… L’autrice non ha bisogno di dirci com’era prima del Grande Bagliore, prima dell’Apocalisse. Lo sappiamo da noi. Ed è triste pensare che molti dei suoi personaggi neppure possano immaginarlo, perché sono nati e cresciuti in questo mondo distorto dalle tenebre, tra possessioni demoniache, zombi, Bracconieri, Orfani e Banditori senza scrupoli. Un mondo in cui è possibile perdere l’anima, imbattersi in veggenti, animali mutanti, sciamani, stregoni voodoo e generali infernali. Un mondo in cui fidarsi di qualcuno potrebbe voler dire perdere la vita. O peggio. I protagonisti di Verso Le Luci del Nord lo percorrono in lungo e in largo , anche se il loro viaggio insieme a noi lettori si concentra negli Stati Uniti; le città che incontrano nel loro travagliato cammino sono il fantasma di ciò che erano un tempo. Un fantasma irrequieto, rancoroso, che non perdona. Tamara Willson e Dave Higgles persistono nella loro missione, chiara sin dall’inizio. Raggiungere le Luci. Il loro viaggio non è solo un sopravvivere, ma un cercare nuove risposte, nuove possibilità, e dovrebbe avere un’unica direzione : il nord. Il tragitto, che avevano programmato con tanta cura, viene però cancellato da una singolare deviazione, che scatena una serie di eventi, di scontri ed incontri, che tengono la suspense sempre alta. Viene spesso da chiederselo : è il caso o il destino, che smuove le carte in tavola ? E che senso ha la fede, in un mondo simile, che sembra aver scardinato tutte le regole prima conosciute ? Un mondo che, come sottolinea spesso Tam, non è fatto per i buoni, o i deboli di cuore… A chi, o a cosa, si dovrebbe credere, ora ?

Dave è come una montagna. Non importa quante crepe corrano tra le sue pareti, si mostrerà sempre implacabile, solida nel furore della tempesta, immobile e spesso silenziosa, ma non meno pericolosa dei tuoni che le cadono addosso. La personalità di Tamara invece è affilata come la lama di un coltello, e calda come fuoco di brace. I suoi occhi vedono molto più di quanto lei vorrebbe, il suo talento è anche una maledizione. Trovo curioso che sia la prima ad affermare di non credere in quello che i suoi occhi non vedono, eppure sia anche la più determinata a raggiungere le Luci, sperando che possano avere per lei delle risposte. Mi piacerebbe parlare anche di altri personaggi, in particolare di Maddie, ma temo che vi svelerei troppo. E’ in ogni caso un personaggio a cui mi sono affezionata, e che ho seguito con interesse e una certa meraviglia, man mano che procedevo nella lettura …

I dogmi delle religioni vengono scardinati, ma l’essenza, le reliquie, i testi sacri, le antiche lingue, i simboli, sono preservati come qualcosa di prezioso, che può aiutare a liberare l’umanità dal giogo infernale in cui si è lasciata ingabbiare. Tamara e Dave in questo giocano un ruolo unico, importantissimo, perciò vengono inseguiti da una folta, pericolosa e imprevedibile schiera di nemici, che concorrono anche tra loro, pieni di ambizione e sete di potere. Barbero e tutti gli altri, che non citerò per non rovinare la sorpresa, non sanno cosa sia la pietà o la misericordia, e lo dimostrano a più riprese, in scene talvolta davvero cruente. Dave e Tam però non sono affatto degli sprovveduti, e ne hanno passate sin troppe per arrendersi alla prima difficoltà …anche se ogni tanto una settimana di ferie non guasterebbe !

Verso le Luci del Nord ti obbliga a seguirli nelle loro peripezie, a soffrire con loro, a gioire dei pochi, brevi momenti di pace, tra una disgraziata concatenazione di eventi e un’altra ancora peggiore, a sperare con tutto te stesso che quelle Luci esistano davvero e non siano solo una leggenda priva di fondamento, interrogandoti, per tutto il tempo, sul loro mistero,  sul senso della fede, sul senso della vita e dell’identità, sulla forza e il coraggio che servono per costruirla, compiendo scelte per se stessi, sulla libertà e sull’importanza di spezzare certe catene, sull’amore e sull’amicizia in tempo di guerra, sul senso del ricordo e della conoscenza, per preservare i valori di un’umanità a rischio.

***Da ultimo sottolineo un elemento che per me è di profondo interesse, da studiosa di storia e antropologia : tutta la simbologia e i richiami mitologici e biblici, ma anche tutti gli accenni alla cultura creola, e alla vita nomade, sono sapientemente inseriti, e mi spingono a fare qualche ricerca prima di buttarmi in una più consapevole rilettura.***

Commento personale :

Ho amato Verso Le Luci del Nord, e …ne vorrei ancora. Vorrei sapere cosa succede dopo e quali saranno le conseguenze di certe azioni. Vorrei scoprire qualcosa in più su certi personaggi. Come ho detto all’inizio, vorrei percorrere insieme a Tam e Dave un altro pezzetto di strada, se possibile. Vi sembreranno tante, 428 pagine, ma le ho divorate in pochi giorni : appena avevo un attimo di tempo, riaprivo il mio Kindle per sapere se i nostri eroi sarebbero sopravvissuti all’ennesima avventura, e a quale prezzo, e se sarebbero mai giunti alle Luci.

5 stelle piene, assolutamente consigliato, specie agli amanti del genere !!!