Mi ha molto colpito lo stile di Cortazar nel raccontare il magico e il soprannaturale, sottendendolo tra le righe con grandiosa maestria. E’ stato affascinante leggere questa raccolta, respirare un po’ delle atmosfere Argentine, provare un senso di inquietudine all’improvviso nel mezzo della pagina, e quasi sempre sorprendersi di qualcosa di inatteso nel finale. Tra tutti certamente il racconto che dà il titolo alla raccolta mi ha lasciato una maggiore impressione, non tanto nell’immagine suggestiva delle due tigri che si aggirano per casa, il segno di un’eccellentemetafora letteraria che prende vita in questa storia come in poche altre da me lette, ma nella nascita di una terza creatura, la bambina in visita che anziché essere accudita finisce con l’accudire e si trasforma in mamma tigre, pronta a tutto pur di proteggere i suoi cuccioli. Il rovesciamento dei ruoli, la violenza domestica, l’infanzia negata. In questo racconto c’è un’incredibile esplosione dal particolare all’universale, un’intensità in crescendo da togliere il fiato. Tra gli altri racconti, vale la pena menzionare in particolare Omnibus,Casa Occupata (che mi ha rimandato il pensiero a Casa di Foglie!), e Lontana – diario di Alina Reyes (che sarebbe un’ottima base per un romanzo più corposo o una sceneggiatura). Sono felicissima di aver scoperto questo autore, perché mi ha fatto scoprire un modo diverso di narrare. Credo che mi riserverò altre letture di Cortazar per il prossimo futuro.
Avete mai letto qualcosa di questo autore? Se sì, cosa mi consigliereste?
Quante volte vi sarà capitato di rimanere bloccati davanti alla vetrina di una libreria, catturati da un’immagine in particolare? Le cover più belle sono opere d’arte che possono darci un’idea precisa della cura dedicata all’opera, ma talvolta si rivelano abili artifici in grado di alzare fin troppo le nostre aspettative.
Mi piaceva l’idea di condividere con voi alcune cover che mi hanno davvero fatta andare in visibilio:
Girl, Serpent, Thorn di Melissa Bashardoust
With the fire on high di Elizabeth Acevedo
Wilder Girls di Rory Power
Gideon the Ninth di Tamsyn Muir
The Ten Thousand Doorsof January di Alix E. Harrow
Figli di Virtù e Vendetta di Tomi Adeyemi
Nevernight – Alba oscura di Jay Kristoff
Il priorato dell’albero delle arance di Samantha Shannon
Magonia di Maria Dahvana Headley
L’orologiaio di Filigree Street di Natasha Pulley
Le Torri di Vetro di Natasha Pulley
The Lost future of Pepperharrow di Natasha Pulley
Leopardo nero, lupo rosso di Marlon James
The Essex Serpent di Sarah Perry
WashingtonBlackdi Esy Edugyan
Straniero in terra straniera di Robert A. Henlein
Avete letto questi libri? Il contenuto secondo voi è all’altezza della mise en place? Ma soprattutto, quali sono le cover che vi hanno fatto impazzire?
Ho già parlato di Afrofuturismo in passato in questo blog. Allora perché, direte voi, tornare a scriverne? Ebbene, mi sono resa conto, leggendo diversi articoli e interviste sull’argomento, di aver commesso un errore, connettendo questo termine così specifico al libro “Laguna“, e quindi sentivo di dover rimediare. Quella che segue è una riflessione aggiornata frutto dei miei approfondimenti, e siccome è una tematica che mi interessa per gli importantissimi risvolti umani e culturali, oltre che letterari, non escludo di poter tornare sull’argomento. In fondo all’articolo i riferimenti bibliografici.
1. collocazione nel panorama letterario
Afro Futurism e Africanfuturism in campo letterario possono essere considerati sottogeneri della Speculative Fiction. Pur avendo tratti comuni, presentano sostanziali differenze. In particolare, l’Afrofuturismo è una corrente trasversale che prende diversi settori artistici, coinvolgendo anche pittori, fashion designer, musicisti e registi.
2. Afrofuturismo: ovvero come spezzare le catene, da Olivia Butler a Janelle Monae, da Sun-Ra a Black Panther
L’Afrofuturismo come termine nasce da un’intervista che Mark Dery fece a Samuel R. Delany, Greg Tate e Tricia Rose nei primi anni novanta. E’ una corrente nella quale le nuove tecnologie, il contesto afro-americano il folklore e la fantascienza convergono, solitamente in chiave critica rispetto agli stereotipi che inchiodano africani e afroamericani alla rappresentazione occidentale, ribaltando i ruoli e spingendosi a immaginare un futuro diverso, in un contesto in cui, però, pesano ancora le tematiche del colonialismo, della diaspora africana, della discriminazione razziale e della schiavitù. E’ questo il caso di Black Panther, film e fumetto della Marvel in cui prende vita la meravigliosa Wakanda, circondata da un’Africa terribilmente attuale; dei libri di Octavia Butler; degli album di Janelle Monae e Sun-Ra. Un altro chiaro esempio è nel racconto “La Truffa Spaziale”* e in “The Magical Negro” di Nnedi Okorafor. In questo secondo racconto lo stereotipo del “nero magico”, che ritroviamo in diversi libri anglosassoni e film hollywoodiani, appare inizialmente seguire il copione, correndo in aiuto di Brave Lance; ma quando quest’ultimo si rivela totalmente incapace di reagire e utilizzare al meglio l’aiuto ricevuto per salvare a entrambi la vita, lo stereotipo si ribalta, il nostro protagonista decide di non sacrificarsi, e rompendo la quarta parete ci dice:
“tutta questa merda che state leggendo sta per cambiare. Il Nero Magico non si farà più prendere a calci in culo“.
Google doodle, Octavia Butler
3. Africanfuturism: ovvero come coltivare una nuova identità, nelle parole di Nnedi Okorafor.
IlFuturismo Africano, (se posso permettermi di tradurlo così senza per forza richiamare alla mente Marinetti e il suo Mafarka), si può considerare non in contrasto con l’Afrofuturismo, ma come sua naturale evoluzione. Questo perché le storie di questo sottogenere dimostrano totale indipendenza dal mondo occidentale, creando ambientazioni decolonizzate nel continente nero, e rifacendosi al folklore e alla pluralità di identità etniche africane, richiamando le tradizioni e i miti e al tempo stesso includendo nel quadro futuristico i temi delle nuove tecnologie, dell’ambientalismo e del femminismo.
Arrivo a dire che mentre Laguna si inserisce a metà strada tra Afrofuturismo e Africanfuturism, e così pure la trilogia deLa Terra Spezzatadi N.K. Jemisin e Figli di Sanguee Ossa di Tomi Adeyemi, un’opera comeBinti, pur continuando a esplorare dinamiche etniche e interraziali (tra umani e alieni), fa un passo avanti alla conquista dello Spazio aperto, cercando nuove dinamiche. Riscontrabili in un altro racconto di Nnedi Okorafor:“Mother of Invention“, in cui una casa smart prende le difese della protagonista, Anwuli, una donna nigeriana, tradita, abbandonata, e in pericolo di vita.
4. Speculative Fiction e “blackness”: il futuro è creta nelle mani degli artisti.
Che si tratti di Afrofuturism o di African Futurism, la nota fondamentale è che tutte le storie qui citate non sono il prodotto di una rappresentazione bianca, ma della riconquista identitaria, della riappropiazione di una visione immaginativa da parte di autori e artisti africani, o afro-americani, che hanno saputo esprimere a parole o in musica o sulla tela il vero valore culturale della blackness rompendo con ogni pregiudizio. L’African Futurism ha il merito di incorporarla in un’idea ancora più innovativa e superba di futuro, che fino a qualche decennio fa avremmo ritenuto più che improbabile e che ora invece ci permettiamo di sognare.
La Truffa Spaziale di Nnedi Okorafor, online in originale Africanfuturist 419, ClarkesWorld issue 122, nov. 2016; anche in italiano, tradotto da Bruna Tortorella nelle pagine 54-57 di Internazionale n.1339 anno 27
“The Magical Negro” di Nnedi Okorafor, in originale o in francese nella raccolta di short fiction “Kabu Kabu“, Prime Books, 2013
Curiosità, desiderio, fissa e bisogno: come ho superato i quattro stadi del lettore e ho finalmente cominciato “La Quinta Stagione”…
Tra i premi letterari che seguo con più attenzione da diverso tempo ci sono i World Fantasy, Locus, Nebulae Hugo Awards. Questo perché negli elenchi di libri, raccolte di racconti e novelle trovo spesso i miei autori preferiti (nel panorama del fantastico, del weird e del fantascientifico), e ne scovo di altri che vale certamente la pena tenere d’occhio.
E’ nel 2015 che come un terremoto irrompe sulla scena N.K. Jemisin, con la sua trilogia The Broken Earth. Già candidata e finalista negli anni precedenti, nel 2016 vince l’Hugo per The Fifth Season e nei canali letterari non si parla d’altro. Inizio a drizzare le antenne. Nel 2017 vince con The Obelisk Gate, e nel 2018 fa tripletta con The Stone Sky. A questo punto sono bella che presa all’amo, ma ho diversi altri libri in lettura e decido, nonostante l’hype, di aspettare latraduzione italiana. Quando esce la notizia che Mondadori pubblicherà l’intera trilogia nella collana Oscar Fantastica sono al settimo cielo. Per di più mantenendo le copertine originali…! Devo aver rotto le scatole talmente tanto a casa, (quando mi fisso su qualcosa sono una pigna in…), che a sorpresa una sera mia madre tira fuori “La Quinta Stagione” dalla borsa. Un regalo per me e per la sanità mentale di tutta la famiglia.
Nel frattempo un cambio di lavoro, un trasloco e mille altre magagne spostano il mio asse verso altre cose, e si arriva così a metà aprile 2020. Ho appena sospeso il mio folle viaggio nello spazio e nel tempo con Arthur Dent e Ford Prefect, (di nuovo sulla Terra alla fine di Ristorante al termine dell’Universo). Guida Galattica è stato un compagno formidabile capace di tirarmi su il morale durante le prime settimane di quarantena, ma ora cerco qualcosa di diverso, qualcosa che non mi faccia ridere, perché non ne ho più voglia.
E così ricordo di avere La Quinta Stagione che mi aspetta da mesi quieto sullo scaffale TO READ. Ironia della sorte, siaGuida Galattica per gliAutostoppisti che la trilogia della Terra Spezzata parlano di mondi che stanno per finire, di mondi distrutti e poi ricostruiti, di Storia e di storie alternative, del senso della vita, l’universo e tutto quanto. Forse il mio subconscio sapeva che avevo bisogno di affrontare questa lettura ora, in questo momento storico, e mi ha guidato più di quanto pensassi.
Insomma, tutto questo papiro per dirvi che sono stata travolta dal mondo scolpito nella pietra dalla Jemisin e che l’ho trovato super ultra iper fantastico. Crudele, reale, talmente vivo da far male, con personaggi superbi le cui vicissitudini, (esplosioni e fuochi d’artificio ad ogni capitolo!), sono incanalate in una narrazione che è argento vivo nella roccia. Pun intended. La Fase 2 si apre con me, doppiamente travolta, alla fine della copia ARC de “Il Portale degli Obelischi“. Divisa ora tra la voglia di acquistare l’ebook di The Stone Sky o attendere l’edizione italiana, meritevole fin qui di due splendide traduzioni, curate nei minimi dettagli.
***Se volete saperne di più, stay tuned, nel prossimo articolo recensirò La Quinta Stagione e commenterò anche il seguito fresco di stampa, Il Portale degli Obelischi!***
***Se invece siete in vena di follia e umorismo, oltre che di pianeti distrutti, potete ascoltare qui l’audiolibro di Guida Galatticaper gli autostoppisti di Douglas Adams. O, come nel mio caso, vedere il film. Se non lo avete mai letto, fate un salto sulla Cuore d’Oro e andate a salutare Marvin!***
Tutti stanno parlando di The Hate U Give, vuoi per i premi che ha collezionato, vuoi per il film in uscita…Quel che è certo è che il romanzo d’esordio di Angie Thomas ha lasciato il segno, toccando un nervo scoperto della società statunitense. Razzismo e police brutality sono temi caldi, anzi bollenti, e T.H.U.G. non fa sconti a nessuno nell’affrontarli. Perno della vicenda, che ruota attorno all’omicidio di un ragazzo afroamericano per mano di un poliziotto, è il coraggio della verità, quella che solo Starr, la giovane protagonista, conosce e può rivelare: nella recensione realizzata a gennaio 2018 potete trovare alcune mie riflessioni su questa intensa narrazione, che sicuramente merita di essere letta e approfondita.
L’amore coniugato in tutte le sue forme vince sull’odio cieco e sul pregiudizio nella meravigliosa fiaba La Forma dell’Acqua. Il libro scritto da Guillermo del Toro e Daniel Kraus mi ha davvero colpita, facendomi macinare pensieri su pensieri per almeno tre mesi dall’uscita del film vincitore di quattro premi Oscar. Anche in questo caso si parla di razzismo e violenza, ma anche di etica e scienza, comunicazione e linguaggio, e di tutto quello che fa di noi degli “esseri umani”, degni di rispetto, cura e diritti. Ne parlo nella recensione di aprile 2018. Un libro che si può apprezzare o meno in relazione agli aspetti più fantasiosi e onirici, si fa portatore di ideali essenziali.
Il tempo si fa percepire in modi ben strani, se sei un uomo di 436 anni tormentato dal passato e con un unico obbiettivo: ritrovare la figlia perduta. Tom Hazard è il longevo protagonista di Come Fermare il Tempo, che ormai immagino con l’affascinante volto di Benedict Cumberbatch. L’ultimo romanzo di Matt Haig ci porta a spasso nei secoli facendoci incontrare personaggi storici eccezionali, alcuni inventati e altri noti. Una lettura che ho trovato estremamente piacevole e interessante, in grado di far viaggiare il lettore in epoche e luoghi differenti con estrema facilità, nel giro di poche pagine. La recensione di ottobre 2018 vi aspetta con altri dettagli!
Personalmente mi ricorderò di questo libro per un episodio in particolare, legato a un paragrafo che ha ridotto me e mia sorella alle lacrime… dal ridere!
E’ una storia essenziale e profonda ad aver vinto quest’anno il Premio Strega: parliamo del libro Le Otto Montagne diPaolo Cognetti, edito da Enaudi nel 2016. In quasi duecento pagine, il racconto della vita di una famiglia e di due amici, che si sviluppa all’ombra delle Alpi. Scorre veloce, ma nella sua apparente semplicità scava a fondo, sa di verità, e poggia su un linguaggio limpido, che senza mai cercare di darsi un tono ci offre poche ma importanti metafore, dal senso tangibile: luccicano appena nella pagina, come luccica a tratti il ghiaccio sulla vetta. Ascoltiamo Pietro Guasti, un ragazzino che, tra salite e discese sul fianco della sua Montagna, diventa uomo. Lo osserviamo procedere un passo avanti all’altro e farsi forza trattenendo i conati, con suo padre alle spalle a vegliare sull’arduo cammino, che non prevede pause di ristoro. Una fatica da matti, per conquistare la cima e per tornare all’origine, a quella sorgente che è madre del futuro, così come il ghiacciaio, contenitore di inverni passati, è padre del ricordo. Domina il silenzio, il non detto, spezzato nella prima parte solo ogni tanto da scambi brevi e duri, tra Pietro e suo padre Gianni, e tra Pietro e Bruno, il suo più caro amico; gli uomini non si parlano mai troppo, a volte quasi per niente. Fanno passare anni, senza dirsi nulla, forse senza mai capirsi davvero, ma al ritrovarsi è come se non fosse trascorso un secondo, nonostante l’allargarsi delle conoscenze e degli affetti, e l’aumentare di rughe, occhiaie, capelli e pensieri grigi. In mezzo, il lavoro di cucito di una donna che tende ai loro legami affettivi come fossero cuccioli da accudire. Ed ecco che i brevi dialoghi piano piano si trasformano in discorsi, i non detti tentano sbocchi e percorsi nuovi per venire a galla, assumono la forma di progetti. Questa è una storia di uomini che amano così intensamente la roccia che tocca il cielo, al di là del bosco, da non poter vivere da nessun’altra parte: la montagna crea una barriera fisica tra loro e la società cittadina, di pianura, col traffico e l’inquinamento, il sovraffollamento, la frenesia continua. La montagna è un rifugio per solitari che impone il suo tributo, in un modo o nell’altro: non offre al cuore alcuna via di scampo, lo lascia scoperto, che sia a godere del calore di una vecchia stufa, con a fianco un amico, o al gelo di un inverno senza fine. Quello che più colpisce, nella scrittura di Cognetti, oltre alla suggestione di un romanzo che ha il sapore di un’autobiografia, sono le descrizioni. La Montagna non è solo l’ambiente, è il personaggio. E’ abete, cembro, ghiaccio, neve, pascolo, larice, rododendro. E’ una serie di nomi precisi, come “berio”, pietraia, che danno al racconto una vera e propria fisicità, e a noi l’impressione di avere a che fare con un corpo e di poterlo toccare con mano. Nel suo blog,paolocognetti.blogspot.it, l’autore definisce così la questione, in un dialogo con Lars Mytting (Norwegian Wood, Sedici Alberi) :
“Dovremmo essere esponenti di un nuovo nature writing, […] un bisogno condiviso di uscire dalle città e recuperare ciò che abbiamo dimenticato là fuori. Ma sappiamo entrambi che la natura esiste solo nella testa dei cittadini. Per chi ci vive in mezzo la natura che cos’è? Un campo coltivato, un bosco di cui l’uomo taglia gli alberi, una costa modellata dal lavoro, una montagna abitata e poi inselvatichita: la cosiddetta natura è un mondo di segni e di nomi, di storie, di relazioni, per questo entrambi preferiamo la parola paesaggio. E “scrittura del paesaggio” è una definizione che potrebbe andarci bene.”
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Commento personale: leggere Le Otto Montagne è stato un assoluto piacere. Mi è sembrato di non aver mai conosciuto davvero la montagna, prima di aver letto questo libro. Lodo la sua grande sensibilità, il suo saper emozionare e suscitare meraviglia, per non parlare della bellezza e della sostanza del suo stile narrativo, capace di offrire sensazioni tattili e visive molto precise. Mi ha fatto desiderare di infilare gli scarponi e partire.
*questo articolo è contenuto nel n. 65 del giornale interscolastico di Treviso
Festeggio in questa giornata il World Book Day con particolare gioia, perché ho la possibilità di condividere con voi la storia di un’appassionata lettrice, che è anche la storia di un blog meraviglioso. Forse avrete già sentito parlare di lei : ANN MORGAN, scrittrice e blogger londinese, che qualche anno fa esplorando la sua libreria si rende conto di un fatto sconcertante : è una xenofoba letteraria. Forse “xenofoba” è un termine un po’ troppo forte, ma è quello che usa lei stessa nel discorso registrato da TEDquest’anno.
“Le nostre librerie dicono molto di chi siamo” dice Ann. “E ho capito che non c’era molto spazio per autori che non fossero britannici o americani, nei miei scaffali. Ne sono rimasta sconcertata”
What I did know was I couldn’t do it by myself. As anyone who’s dropped in on my A year of reading women blog will realise, I used to stick mostly to British and North American writers, with the occasional South African, Australian and Indian thrown in. My knowledge of world literature was shamefully anglocentric. [dal blog]
E’ il 2012, l’anno delle Olimpiadi, l’anno in cui il mondo intero si riversa su Londra. Ann sente il bisogno di risolvere quella che crede essere molto più che una semplice lacuna letteraria. Sente il bisogno di esplorare il mondo …Leggendo.
In 2012, the world came to London for the Olympics and I went out to meet it. I read my way around all the globe’s 196 independent countries – plus one extra territory chosen by blog visitors – sampling one book from every nation.
Vi consiglio di ascoltare il discorso di Ann, e di prendervi del tempo per scorrere la lunghissima lista riportata nel blog, l’elenco completo di tutti i libri che è riuscita a leggere, e che le sono stati consigliati da centinaia di persone nel corso di questa incredibile avventura nel mondo della parola scritta. Alcuni titoli ci sono noti, altri completamente sconosciuti. Scoprite quanti sforzi ha compiuto per procurarsi certi libri, mai tradotti in inglese, e quanto la gente, da ogni angolo di questo nostro pianeta, sia stata disponibile e generosa oltre ogni sua aspettativa, per consentirle di compierle questa missione. La storia di Ann Morgan mette in luce una questione fondamentale che tocca corde sensibili del mondo editoriale : “solo il 4% dei libri pubblicati in Inghilterra sono traduzioni, e per la maggior parte sono traduzioni di testi francesi e svizzeri”. La nostra visione del mondo è fortemente limitata, dal momento in cui non abbiamo la possibilità di scegliere libri di cui non sappiamo nemmeno l’esistenza. E tuttavia Ann, con il suo impegno e la sua costanza, ha dimostrato che nell’era di internet non esistono limiti invalicabili. E nemmeno libri irraggiungibili.
Oggi voglio condividere con voi le illustrazioni di un artista italiano che reputo molto, molto bravo, Andrea De Santis.
Andrea, tra le altre cose, collabora come illustratore per alcuni dei più importanti magazines statunitensi, come WWD, REDBOOK e OPRAH magazine. Quelle che vedete qui di seguito le ho scovate per caso su Pinterest, Behance e facebook in questi ultimi mesi; erano state pubblicate a giugno sul quotidiano tedesco Die Zeit. Queste illustrazioni compongono una fantastica serie sul piacere di leggere, mostrando in modo originale, efficace ed immediato gli effetti benefici della lettura !
Leggere per me è un misto di tutte e quattro le cose, è come volare, è essere intrepidi e curiosi, è galleggiare in un mare di parole, finalmente liberi, è rilassarsi, è attraversare una porta misteriosa … Chissà dove ci porterà !
“Aveva navigato nelle notturne acque degli spazi come un pallido leviathan di mari ultraterreni”
pag. 69, Cronache Marziane di Ray Bradbury – ‘La Terza Spedizione’ –
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“-Morti, morti sono – disse il capitano Wilder – crede che sappiano che noi siamo qui ? –
-Una cosa antica non sa sempre quando ne arriva una nuova ? – “
pag. 102, Cronache Marziane di Ray Bradbury – Giugno 2001, “… And The Moon be still as bright “
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” C’era come un odor di Tempo nell’aria, quella notte. Tomàs sorrise all’idea, continuando a rimuginarla. Era una strana idea. E che odore aveva il Tempo, poi ? odorava di polvere, d’orologi e di gente. E che suono aveva il Tempo? faceva un rumore di acque correnti nei recessi bui d’una grotta, e di voci querule, e di terra tambureggiante con suono cavo su coperchi e casse, e rumore di pioggia. E, per giungere alle estreme conseguenze, che aspetto aveva il Tempo? Il Tempo era come neve che cade senza rumore in una camera buia, o come un film muto in un’antica sala per spettacoli, cento miliardi di facce cadenti come quei palloncini di capodanno, giù, sempre più giù, nel nulla. Così il Tempo odorava, questo era il rumore che faceva, era così che appariva. E quella notte – Tomàs immerse una mano nel vento fuori della vettura – quella notte tu quasi lo potevi toccare, il Tempo” –
pag. 157, Cronache Marziane di Ray Bradbury – Agosto 2002, Incontro di notte
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da : Evergreen, Grande Biblioteca Per Ragazzi /Mondadori DeAgostini, 1989 (traduzione di Giorgio Monicelli)
“Io invece, in mezzo a tanto fervore d’interezza, mi sentivo sempre più triste e manchevole. Alle volte uno si crede incompleto, ed è soltanto giovane”
pag. 100, Il Visconte Dimezzato di Italo Calvino. Ed. Garzanti – Gli Elefanti, 1986
“Ma già le navi stavano scomparendo all’orizzonte e io rimasi qui, in questo nostro mondo pieno di responsabilità e fuochi fatui”
pag. 101, Il Visconte Dimezzato di Italo Calvino. Ed. Garzanti – Gli Elefanti, 1986