Chiunque sia appassionato delle opere di John Ronald Ruel Tolkien dovrebbe leggere questo libro, che raccoglie gran parte delle sue lettere.
Tolkien intratteneva una vasta corrispondenza sia con i figli che con i suoi editori, e molto spesso si trovava a rispondere ai suoi ammiratori. Un tono calmo ma determinato pervade questi suoi lasciti, e lo vediamo districarsi nei problemi quotidiani della sua vita, del suo lavoro accademico, e della creazione lenta, puntigliosa, ma inesorabile, delle opere letterarie che lo avrebbero portato al successo, primo tra tutti Lo Hobbit. Scopriamo così la sua attenzione caparbia per le traduzioni in altri paesi, per le illustrazioni, per le mappe e i nomi dei personaggi, per le copertine addirittura. Lo vediamo impegnato anche in altre opere e negli impegni accademici, che certo occupavano molto del suo tempo; lo troviamo a dipanare pazientemente i dubbi che i suoi lettori gli ponevano, e rispondere con cortesia alle richieste più assurde. Ma Le lettere non contengono solo preziose informazioni sul modo in cui i libri di Tolkien presero pian piano vita e sulla reazione che essi ebbero all’epoca ; qui è contenuto l’universo ”Tolkien”. Dagli scritti inviati ai fratelli Lewis, a Christopher, suo figlio e prezioso aiutante, a Micheal e Priscilla, emergono tutti i pensieri e le idee intime che lo scrittore riservava ai temi più importanti del vivere : io, come persona e come lettrice, ne ho saputo trarre conforto in più di un caso, anche se queste lettere non sono certo state indirizzate a me.
Ne riporterò qui di seguito le note in copertina di Quirino Principe, degli stralci dalla traduzione italiana , a cura della casa editrice Bompiani (Trad. Cristina de Grandis), e alcuni dall’originale ( a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien).
Francia, fronte della Somme, marzo 1916. Truppe britanniche sono acquartierate fra casematte e trincee fangose. A intervalli imprevedibili fischiano le granate, imperversano i proiettili. È un triste pomeriggio piovoso; un ventiquattrenne ufficiale dell’11° fucilieri del Lancashire ha letto vecchi appunti di lezioni militari, ed è già stufo dopo un’ora e mezza. Tralasciata quell’occupazione frivola, si dedica a qualcosa di serio: ritocca e perfeziona un linguaggio di sua invenzione, la lingua delle fate. Dell’evento, più importante dei proiettili d’artiglieria, dà notizia in una lettera alla fidanzata.
Quell’ufficiale segnalatore è, naturalmente, John Ronald Reuel Tolkien, e della saggezza che lo spinge continuamente a lasciare da parte le faccende puerili e un po’ goffe, la politica, gli affari, la vita mondana, per tornare a realtà autentiche e perenni, gli elfi, le fate, gli alfabeti fantastici, i poemni d’amore, queste pagine sono inesauribile testimonianza. Eccolo nel 1914, durante una visita molto noiosa al rettore dell’Exteter Colege di Oxford, fuggir via nella pioggia e correre a casa, ai suoi libri; rieccolo nel 1938, al tempo dei patti di Monaco, quando in Inghilterra d’altro non si parla se non di Hitler e del ben riuscito appeasement, preoccupatissimo per l’effige mal riuscita di Mr. Baggins in un’illustrazione per Lo Hobbit.
E qui rinasce il solito interrogativo. Si crede abitualmente che gli inventori di mondi paralleli siano tanto più distinti signori normalissimi e un po’ grigi quanto più il mondo nato dalla loro fantasia è eccentrico. Tolkien no: leggiamo le sue lettere, e ci accorgeremo che nella sua vita di professore gentile e sereno, di accademico coltissimo e puntuale, di gentleman refrigerante, di nonno delizioso, si nasconde un segreto. Leggiamo e vedremo, forse in trasparenza, che ogni pagina, ogni riga può essere decifrata in vista di quel segreto.
Sbaglia però chi pensa a J.R.R. personaggio della Terra-di-Mezzo: quello è il porto della fantasia, e come ogni porto finisce per essere autonomo. «Io in realtà», scrive Tolkien ad Amy Ronald nel 1969, «non appartengo alla storia che ho inventato, e non voglio appartenervi.» Il suo è un altro mondo, dunque, pur se non è il nostro. Ma quale? – Quirino Principe
12 To Allen & Unwin
[In mid-March, Tolkien returned the proofs of The Hobbit to Allen & Unwin, having marked them with a
very large number of alterations to the original text. He was told that as a result he might have to pay part of
the cost of correction, though the publishers noted that he had devised revisions which would occupy
exactly the same space as the original text. With the following letter, he submitted a drawing for the dustjacket,
which included a runic inscription.]
13 April 1937 20 Northmoor Road, Oxford
Dear Sirs,
I return under separate cover the corrected Revises of the Hobbit, complete. …. I note what you
so kindly say about the cost of corrections. I must pay what is just, if required; though I shall
naturally be grateful for clemency. Thank you for your trouble & consideration. ….
You will find with the revised proofs a draft of the jacket, for your criticism. I discovered (as I
anticipated) that it was rather beyond my craft and experience. But perhaps the general design
would do?
I foresee the main objections.
There are too many colours: blue, green, red, black. (The 2 reds are an accident; the 2 greens
inessential.) This could be met, with possible improvement, by substituting white for red; and
omitting the sun, or drawing a line round it. The presence of the sun and moon in the sky together
refers to the magic attaching to the door.
It is too complicated, and needs simplifying: e.g. by reducing the mountains to a single colour,
and simplification of the jagged ‘fir-trees’…..
In redrawing the whole thing could be reduced – if you think the runes are attractive. Though
magical in appearance they merely run:
The Hobbit or There and Back Again, being the record of a year’s journey made by Bilbo Baggins;
compiled from his memoirs by J. R. R. Tolkien and published by George Allen & Unwin. ….
87 To Christopher Tolkien
25 October 1944 20 Northmoor Road, Oxford
Dearest man. Here is a little more of ‘the Ring’ for your delectation (I hope), and criticism, but
not for return. Two more chapters to complete the ‘Fourth Book’, & then I hope to finish the ‘Fifth’
and last of the Ring. I have written a long airletter today, & shall write again (of course) before your
birthday. I am afraid this little packet won’t get to you in time for it.
‘Dear Mr Tolkien, I have just finished reading your book The Hobbit for the 11th time and I
want to tell you what I think of it. I think it is the most wonderful book I have ever read. It is
beyond description … Gee Whiz, I’m surprised that it’s not more popular … If you have
written any other books, would you please send me their names?’
John Barrow 12 yrs.
West town School, West town, Pa.’
I thought these extracts from a letter I got yesterday would amuse you. I find these letters which
I still occasionally get (apart from the smell of incense which fallen man can never quite fail to
savour) make me rather sad. What thousands of grains of good human corn must fall on barren
stony ground, if such a very small drop of water should be so intoxicating! But I suppose one
should be grateful for the grace and fortune that have allowed me to provide even the drop. God
bless you beloved. Do you think ‘The Ring’ will come off, and reach the thirsty?
Your own Father.
It’s nice to find that little American boys do really still say ‘Gee Whiz’.
100. Da una lettera a Christopher Tolkien . 29 maggio 1945
(di ritorno dal Sudafrica, Christopher stazionava con la RAF nello Shropshire. Sperava di ottenere un trasferimento nella Fleet Air Arm )
Mi sarebbe di qualche conforto se tu riuscissi a sfuggire alla RAF. E spero, se il trasferimento avverrà, che si tratti di un vero trasferimento, e che ti affidino un altro incarico. Non mi è facile esprimere tutta la mia repulsione per il Terzo Corpo – che tuttavia può essere, e per me lo è, unita all’ammirazione, alla gratitudine, e soprattutto alla compassione, per i giovani che vi sono intrappolati. Ma è l’aereo da guerra il vero male. E niente può far tacere il mio dolore al pensiero che tu, mio amatissimo, debba averci a che fare. I miei sentimenti sono più o meno gli stessi che Frodo avrebbe provato se avesse scoperto che qualche hobbit imparava a cavalcare gli uccelli Nazgul, ”per la liberazione della Contea”. (…)
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